Disturbo depressivo maggiore
Disturbo depressivo maggiore. Il principale criterio diagnostico per il disturbo depressivo maggiore è la presenza di uno o più episodi depressivi maggiori, in assenza di altri tipi di episodi di alterazione dell’umore (maniacali, misti, ipomaniacali, nel cui caso la diagnosi propenderà per un disturbo bipolare).
La sintomatologia caratterizzante è la presenza di umore depresso o perdita di interesse, che, ai fini diagnostici, devono comparire per almeno due settimane accompagnati da almeno altri quattro sintomi depressivi (APA, 2001).
L’età media di esordio è intorno ai 25 anni, nonostante il disturbo depressivo maggiore possa manifestarsi ad ogni età (APA, 2001).
Gli episodi caratterizzanti il disturbo spesso si verificano in conseguenza ad un grave evento psicosociale stressante (come un lutto, un divorzio, una grave malattia). Sembra, da studi citati nel DSM-IV-TR, che il ruolo di questo tipo di eventi sia più significativo nell’esordio del primo o del secondo episodio e abbia meno valore nell’esordio degli episodi successivi (APA, 2001).
Il decorso può condurre, in circa due terzi dei casi, ad una completa risoluzione degli episodi depressivi maggiori che, invece, in un terzo dei casi, non si risolvono o si risolvono solo parzialmente. In quest’ultima eventualità, sarà maggiore la probabilità di incorrere in ulteriori episodi, mantenendo un andamento con recupero interepisodico parziale (APA, 2001).
Il rischio di sviluppare, nel corso della vita, il disturbo depressivo maggiore varia dal 10% al 25% per le donne e dal 5% al 12% per gli uomini, in campioni di comunità, mentre gli indici di prevalenza stimati negli adulti in campioni di comunità variano dal 5% al 9% per le donne e dal 2% al 3% per gli uomini, senza apparenti differenze per etnia, educazione, reddito o stato coniugale (APA, 2001).
Angst (1997) riporta studi epidemiologici da cui emergono tassi di prevalenza nel corso della vita stimabili tra il 12% e il 17%.
I dati riportati da Judd e Kunovac (1997) indicano che circa un adulto su cinque (17,7%) soffrirà di depressione maggiore nel corso della sua vita.
Il disturbo depressivo maggiore è inoltre più comune tra i familiari di primo grado di individui con lo stesso disturbo, con una frequenza di 1,5-3 volte maggiore rispetto alla popolazione generale (APA, 2001) ed è più comune nei parenti di primo grado dei soggetti con disturbo distimico.
Nancy McWilliams (1994) afferma che esiste un’ovvia evidenza del fatto che la depressione ricorra tra le famiglie; tuttavia rimane ancora aperta la questione di quanto le tendenze depressive vengano trasmesse geneticamente e quanto sia invece il comportamento di genitori depressi a provocare reazioni distimiche nei figli (Mc Williams, 1994).
Il disturbo depressivo maggiore è associato con un’elevata mortalità. Secondo il DSM-IV-TR, fino al 15% dei soggetti che soffrono di disturbo depressivo maggiore grave muore per suicidio e, negli individui con più di 55 anni di età, la frequenza di morte aumenta di quattro volte rispetto a chi ha un’età inferiore (APA, 2001).
Inoltre, in un confronto tra soggetti osservati in ambiente medico generale, quelli con disturbo depressivo maggiore manifestano maggiori dolori e malattie fisiche e un ridotto funzionamento non solo fisico ma anche sociale e di ruolo (APA, 2001).
Il disturbo depressivo maggiore è spesso preceduto da un disturbo distimico: come informa il DSM-IV-TR, ciò accade con una percentuale del 10% nei campioni epidemiologici e del 15%-20% nei campioni clinici. È stato stimato che, ogni anno, individui con solo disturbo distimico manifesteranno un primo episodio depressivo maggiore in circa il 10% dei casi (APA, 2001).
Anche i soggetti con condizioni mediche generali croniche o gravi (come diabete, infarto del miocardio, ictus, carcinomi, ecc) corrono un rischio più elevato, rispetto al resto della popolazione, di sviluppare in seguito il disturbo depressivo maggiore (secondo il DSM-IV-TR, fino al 20-25% dei casi). La presenza di condizioni mediche generali croniche costituisce, inoltre, un fattore di rischio per episodi depressivi maggiori più persistenti (APA, 2001).
Diagnosi differenziale del disturbo depressivo maggiore
Innanzitutto, è esclusa la diagnosi di disturbo depressivo maggiore se, nella storia del soggetto, sono presenti episodi ipomaniacali (che, senza episodi maniacali, indicano una diagnosi di disturbo bipolare II) o maniacali e misti (che, con o senza episodi ipomaniacali, suggeriscono una diagnosi di disturbo bipolare I) (APA, 2001).
Nel DSM-IV-TR (APA, 2001), gli episodi depressivi maggiori devono inoltre essere differenziati da:
- Un disturbo dell’umore dovuto ad una condizione medica generale, nel caso in cui il disturbo sia la diretta conseguenza fisiologica di una specifica condizione medica generale.
- Un disturbo dell’umore indotto da sostanze (per es, abuso di droghe, medicamenti, esposizione a tossine).
- Il disturbo distimico, che si differenzia dal disturbo depressivo maggiore per gravità, cronicità e persistenza. L’umore depresso, che nel disturbo depressivo maggiore deve manifestarsi quasi ogni giorno in un periodo di almeno due settimane, nel disturbo distimico deve essere presente quasi ogni giorno per almeno due anni. Il disturbo depressivo maggiore è inoltre diagnosticato in base a uno o più episodi depressivi maggiori che si possono differenziare dal funzionamento abituale della persona, mentre la diagnosi di disturbo distimico prevede sintomi depressivi cronici, presenti da molti anni e di minor gravità.
- Il disturbo schizoaffettivo, che, a differenza del disturbo depressivo maggiore con manifestazioni psicotiche, richiede la presenza di deliri o allucinazioni in assenza di sintomi depressivi rilevanti per un periodo di almeno due settimane. Bisogna ricordare, inoltre, che anche la schizofrenia, il disturbo delirante e il disturbo psicotico non altrimenti specificato possono presentare, in alcune fasi, una sintomatologia depressiva.
- I sintomi cognitivi (come il disorientamento, l’apatia, le difficoltà di concentrazione e la perdita di memoria) previsti per una diagnosi di demenza nell’anziano possono essere difficilmente distinguibili da quelli che si manifestano nell’ambito di un disturbo depressivo maggiore.
Per effettuare una corretta diagnosi differenziale si ricorre ad elementi come un’accurata valutazione medica generale, l’esordio del disturbo, la sequenza temporale dei sintomi depressivi e cognitivi, il decorso, la risposta al trattamento e lo stato pre-morboso (solitamente vi è una storia pre-morbosa normale e con un declino cognitivo improvviso associato alla depressione nel caso del disturbo depressivo maggiore, e una storia pre-morbosa di declino progressivo delle funzioni cognitive nel caso dell’individuo colpito da demenza).
Judd e Kunovac (1997) considerano anche la diagnosi differenziale tra episodio depressivo maggiore e normale reazione di dolore, tenendo conto che quest’ultima persiste generalmente da due a sei mesi, migliora senza ricorrere ad uno specifico trattamento e raramente causa un prolungato danneggiamento nel lavoro o in altre funzioni.
Articolo insulso che non mi ha dato alcun sollievo.
Voto 4